Per fortuna questo è l’ultimo album in studio in cui compare Mark Isham, sempre più lanciato ad emulare Brian Eno e sempre meno impegnato a suonare la tromba. Per quanto l’album sia piacevole, sembra fatto con gli scarti del precedente. Troppi brani strumentali ed un suono che vorrebbe essere levigato e pulito ma rischia di cadere nella volgarità. L’inizio è scioccante, con i bassi pompati tanto da far pensare di aver preso per sbaglio un disco di Barry White. La voce emoziona come sempre, anche quando non canta ma recita, vedasi l’introduzione di “Rave on, John Donne”. Per chi riesca, non è difficile, ad abituarsi al suono ammorbidito e plastificato, quest’album può rappresentare un piacevole diversivo nel catalogo dell’irlandese, o comunque un aromatico sedativo. Non mancano le belle canzoni, come “The Street Only Knew Your Name” che cerca di ripetere la “Cleaning Windows” dell’album precedente, ma nessuna è essenziale.
“Il tempo è la tela di cui si fa la vita” diceva B. Franklin. La vita di noi tutti ha varie tappe, vari scalini, vari ostacoli da superare. Tuttavia la musica ci accompagna sin dall’inizio in Leggi tutto…
Il filosofo Isaiah Berlin nel suo “Due concetti di libertà” scrive della libertà negativa a positiva. Concetto non propriamente facile per noi comuni mortali o cittadini, per darsi un tono 😀. Comunque in soldoni, descrive “la libertà Leggi tutto…
Non è la globalizzazione a spezzare la trama identitaria di un paese, nonostante le conseguenze che inevitabilmente essa comporta, nel bene e nel male, bensì la capacità di un popolo di adattarsi ai cambiamenti, di Leggi tutto…
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