Ed eccolo ancora qui l’ultrasettantenne Bob Dylan, con il suo nuovo disco “Tempest”, il trentacinquesimo, in uscita a cinquant’anni giusti dal suo primo album “Omonimo” datato 1962. Difficile poter valutare con precisione la portata dell’influenza che ha avuto il Dylan di quegli anni. I suoi pezzi divennero inni al di là della sua volontà. Blowin’ in the windA hard rainThe times they are a changin’Mr. Tambourine man, furono i pezzi giusti al momento giusto. Quei brani fecero più o meno l’effetto di un’esplosione di consapevolezza. Musicalmente ha spazzato via ogni stereotipo, cambiando continuamente direzione, affermando con determinazione di sentirsi soprattutto un artista libero di scrivere quello che più gli piaceva, sminuendo di molto l’aspetto rigorosamente militante della sua prima produzione. La sua storia si svolge tutta all’insegna di un continuo ciclo di morti e rinascite nel tempo. E’ il personaggio più contestato, indagato, amato e odiato di tutta la storia del rock, sempre aspramente contraddittorio, scomodo, di quelli che mettono a disagio l’interlocutore.

Il Dylan di oggi, giustamente, è più riflessivo sui temi della vita. I testi infatti parlano soprattutto della vecchiaia e della morte. Se musicalmente non vincerà il premio per l’originalità anche in questo il disco dividerà il pubblico tra chi lo loderà come un capolavoro e chi invece lo rilegherà tra la solita “solfa”.

Personalmente l’aggettivo che più incarna tutto il lavoro è: affascinante, affascinante e tutti i suoi sinonimi. Affascinante come un panorama, suggestivo come un tramonto, piacevole come un profumo. Ecco, in questi aggettivi è racchiuso il valore dell’album.

Le dieci canzoni che lo compongono sono un continuo cambiamento di umore, naturalmente dettati dalle sonorità influenzate dai testi.

Ottima apertura con “Duquesne Whistle” considerando il suo precedente Together Through Life del 2009, che mancava di po’ di “sostanza” questo brano mette già subito quell’energia che i suoi fan aspettavano. “Soon After Midnight” è una piacevole passeggiata con un testo dolce e sussurrato al contrario di “Narrow Way” che ha delle belle sonorità blues…ate. “Long and Wasted Years” con un accattivante riff chitarristico mette in luce la sua intensa voce corposa. Il successivo trio: “Pay In Blood” rispecchia i suoi classici, canta e suona a briglia sciolta con un testo diretto e spietato e un “suono” Dylan…iato, Scarlet Town” ricorda il suono di Modern Times e “Early Roman Kings” con la fisarmonica di David Hidalgo, ci riportano a un Dylan “conosciuto” ma per nulla scontato. Le ultime tre canzoni di Tempest concludono ottimamente l’album. “Tin Angel” è un racconto narrativo di un triangolo amoroso che fornisce ottimo materiale per gli analisti dei testi di Dylan, simboli e significati nascosti abbondano inverosimilmente. La title track “Tempest” è una metafora sulla vita, su come siamo tutti inconsapevolmente (o consapevolmente n.d.r.) responsabili del nostro destino. Chiude l’album “Roll On John”, una contemplazione sulla morte del suo vecchio amico John Lennon, virando tra i suoi elementi biografici e frammenti dei suoi testi.

Tempest è un ottimo album e ci mostra ancora una volta un Dylan presente, riflessivo e per niente stanco. Le sue tipiche intuizioni e la sua destrezza sono ancora attive, e, ancora una volta, riescono a capovolgere tutte le aspettative, regalandoci dieci brani senza tempo. Sorprendendo e affascinando allo stesso tempo.

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