Là, da qualche parte nella sconfinata metropoli chiamata New York City, incontriamo la musica di “Caveman”, secondo disco del quintetto omonimo, bellissimo intreccio fra voce di intensità emozionale e un tappeto sonoro le cui trame sono tese dagli efficaci e raffinati interventi delle chitarre e dal resto degli strumenti.

A differenza del loro primo sottovalutato album “Coco Beware” del 2011, disco con sfumature “folkeggianti”, “Caveman” si sposta verso sonorità più indie-rock convincendo e dimostrando una maturità, per quanto ancora in fase di ossatura, molto più marcata.

Gli uomini delle caverne non si sono ancora costruiti un vero e proprio “marchio estetico” ma la buona volontà è evidente nelle undici canzoni che compongono il disco. I brani sono ricchi di armonie chitarristiche a volte lente e caratterizzate da atmosfere malinconiche, a volte forti in un crescere lucido e lamentoso.

L’album è sicuramente assai riuscito con delle piacevolissime ballate, basti ascoltare: “In The City”, “Shut You Down”, “Never Want To Know” e “The Big Push”, per rendersene conto, quattro brani di grande spessore, che alzano il valore del disco di una spanna rispetto alla media dalle uscite di questo duemilatredici.

Un disco consigliato e che sicuramente entrerà nel podio della mia classifica annuale.

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