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La musica di Terry Riley sfugge a una precisa classificazione, tra i vari termini che gli sono stati coniati quello forse più appropriato è di “musica minimalista”.
Il primo disco di Riley è “In C” composizione destinata a fare scuola. In C (titolo derivato dalla persistente pulsazione in Do del pianoforte che ne guida lo svolgimento) è del 1964.

Questa suite che lo ha fatto conoscere in tutto il mondo è certamente il suo lavoro meno accessibile. Gli strumenti partono uno dopo l’altro fino ad accavallarsi, seguendo ognuno singolarmente uno schema assai semplice, in modo che i musicisti possano suonando esprimere e trasmettere dei sentimenti, delle emozioni primordiali.
Cinque anni dopo nel ’69 esce questo “A Rainbow In A Curved Air”, in Italia esce nel ’74, ben cinque anni dopo la sua pubblicazione. L’opera che molti considerano il suo capolavoro, e anche il disco che maggiormente ha influenzato altri musicisti: i “Soft Machine”, specialmente con il loro massimo capolavoro che è “third”, la scuola tedesca dai Tangerine Dream in giù, e per finire gli Who che gli dedicarono il brano Baba O’ Riley pubblicato nell’album “Who’s Next”.

L’opera è un inno alla gioia, con gli strumenti sovrapposti che intessono un’atmosfera da “paradiso”. Terry da solo suona organo, clavicembalo e percussioni. I suoni sono ed evocano una struggente saga della nostalgia, dei mondi vaganti e sassofoni impazziti, un rotolare meravigliosamente verso l’Io, senza inganni, un suono nuovo nella mente, con delle figure musicali inafferrabili come i sogni.
Questo è Terry Riley, molto sinteticamente. Musica dello spirito. Musica dell’inconscio. Musica della gioia. Musica della danza. Musica della nostalgia. Musica del pianto liberatore, dell’emozione pura, della pace psicofisica, interiore.
L’ascolto di questo disco provoca, e non può essere diversamente, una certa riflessione: “Bisogna essere molto coscienti dell’azione che il suono ha su di noi, il modo secondo cui ci influenza. Non dirsi: faccio questo esperimento perché è nuovo, ma vedere quale effetto esso ha su di noi, dentro di noi. Chi fa musica ha una responsabilità, perché fabbrica le vibrazioni. E’ come fabbricare un prodotto chimico, un profumo. I musicisti hanno questa responsabilità: trovare come fare le migliori vibrazioni possibili”.

via | http://artesuono.blogspot.it

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